Le gilde sorsero in Inghilterra nel IX secolo con la funzione di mutuo soccorso, difesa militare e vendetta. Solo più avanti, mutato lo scenario, si andarono a rispecchiare alle corporazioni classiche italiane, francesi e tedesche, diventando sinonimi
La corporazione, ben descritta dal vocabolo greca sunteknia, o da quello fiorentino “Arte”, raggruppava persone che svolgessero lo stesso mestiere ottenendo una coesione che mirava a superare il singolo nelle rivendicazioni contrattuali, di paga, di privilegi. Oggi potremmo definirla quasi un’organizzazione sindacale, con il pregio di fungere anche da mutua assistenza in caso di infortunio e di previdenza sociale nei confronti degli eredi in caso di morte.
Ogni iscritto doveva versare la propria quota nella cassa comune posta sotto la protezione di un Santo. I Capi delle corporazioni, o gilde, i Magistri, godevano dell’accesso diretto verso le istituzioni cittadine e i futuri consigli comunali, al fine di rivendicare i diritti degli iscritti.
Forme associative di questo genere esistevano già nell’antico Egitto, nella Grecia classica e nell’Impero romano, ma è dopo l’alto medioevo che si esprimono nella loro forma più definita e autoritaria, tra il 1100 e il 1200 a Firenze, Bologna, Napoli, Roma, Pavia.
Le associazioni di mercanti sono le prime a crearsi con lo scopo di difendere gli interessi comuni e istituzionalizzandosi sull’esempio delle antiche confraternite. In seguito si vanno separando in base al mestiere effettivamente esercitato, dividendosi in mille consorzi quali saponai, pescatori, boscaioli e così via.
Gli statuti delle corporazioni finirono per diventare simbolo di garanzia del loro prodotto.
Anzitutto il controllo del prodotto finito doveva passare attraverso la qualità delle materie prime utilizzate, la correttezza nelle tecniche di lavorazione e nell’uso degli strumenti di lavoro: questo garantiva al cliente la bontà del prodotto e ne certificava l’autenticità rispetto ai “falsi” prodotti dai non iscritti.
Il concetto di parità all’interno dell’organizzazione garantiva la correttezza del prezzo. In realtà la parità dei membri era solo fittizia: la suddivisione tra Maestri, apprendisti e lavoranti portava a notevoli disparità economiche.
La standardizzazione delle lavorazioni impressa agli apprendisti garantiva infine un lavorato quasi prodotto in serie e costantemente aderente al modello.
Il potere crescente delle corporazioni, oltre che a pesare sulle rivendicazioni “sindacali” degli iscritti, permise di arrivare alla creazione di statuti dove persino la materia giudiziaria veniva alienata alle prerogative delle istituzioni cittadine, creando un mondo a parte, autogestito e di notevole peso politico.
Una di queste associazioni, in particolare, si sviluppò in modo alternativo, creando una rigida gerarchia interna, mantenendo a livello quasi esoterico le nozioni trasmesse da maestri ad apprendisti ed iniziando, col tempo, ad accettare anche soci, di innegabile rilievo, che non fossero accomunati dalla stessa appartenenza ad un’arte. Erano i liberi muratori che, in seguito, sarebbero diventati fratelli Massoni, dando vita alla Massoneria.