Fonte: Vestioevo.com
Il XIII secolo fu un periodo di grande importanza culturale, artistica e politica, di conseguenza anche gli abiti divennero più eleganti e più pratici; questo cambiamento fu reso possibile anche grazie all’adozione di nuovi materiali e dalla maggiore disponibilità di quelli tradizionali che ebbero grande diffusione grazie ai rapporti migliori all’interno dell’Europa.
Nel campo dei materiali usati per la confezione degli abiti, l’uso della pelliccia rappresenta un vero e proprio lusso.
Secondo quanto si trova scritto la pelliccia più apprezzata nel XIII secolo fu il “vaio”; il glossario del “Romanzo della rosa” ci dice: “La pelliccia più pregiata era la pelle di un animale della famiglia dello scoiattolo, chiamato vaio, il cui dorso era di un grigio bluastro simile al colore della colomba mentre il ventre era bianco”. Altri studiosi ritengono che la parola “vaio” fosse un nome generico per indicare tutte le pelli di prima qualità compresi, per esempio, l’ermellino e lo zibellino.
L’abbigliamento maschile, nei primi anni del 1200, subì delle modifiche ben precise, gli uomini indossano una “chemise” (camicia) di tela di lino e brache sempre più corte con un prolungamento di calze sempre più alte; la tunica, subì diverse variazioni a distanza di pochi decenni. All’inizio del secolo scomparirono gli enormi polsini e anche l’ampiezza delle maniche fu ridotta; la tunica era tagliata e modellata con grande generosità sotto le ascelle, così si notava la manica sotto stretta con il polsino aderente. Questa si presentava ampia, stretta in vita solo da una cintura, e leggera anche se tra la nobiltà era molto ricca di decorazioni e ricami; questa poteva essere confezionata a tunica intera o con la parte inferiore tagliata dal cavallo all’orlo che variava dal ginocchio o a parecchi centimetri sotto il ginocchio.
La veste smanicata in soli vent’anni, quindi nel 1220, si presentava senza le enormi aperture per le braccia, alle quali, stringendosi, si cucirono maniche aderenti, più convenzionali; l’orlo rimase all’altezza del polpaccio, ma la parte inferiore generalmente era tagliata in più parti in modo da permettere maggiore libertà nei movimenti. Solo verso la metà del XIII secolo queste vesti vennero riprese largamente, ma con il collo ricurvo e aperta sui fianchi, stretta in vita solo da una cintura, all’apparenza era una sorta di “tabarro” sprovvisto di maniche.
Rimaneva stretta in vita da una cintura e, per i ceti ricchi, questa cintura si trattava di una fascia larga, ricca di ornamenti.
Durante la prima metà del 1200 si preferivano tinte unite, più pratiche come il grigio e il blu o il rosso o il verde, questi colori erano ricavati dai prodotti naturali quindi, con il lavaggio, andavano schiarendosi.
La “roba” (guardaroba) maschile era composto da una tunica (camicia) di maglia di fibra di lino, da un “surcot” smanicato per i primi due decenni del 1200 sostituito nel 1220 da uno con le maniche, da brache lunghe al massimo sino al ginocchio e da calze che coprivano l’intera gamba.
Il particolare surcot dell’inizio secolo era la “cyclas”, che consisteva in un rettangolo di stoffa, con un buco centrale, in cui infilare la testa e due ampi fori per le braccia.
Questa sorta di tunica proveniva dal “surcot”, generalmente adibito all’uso militare, che nel corso del tempo è stato cucito lateralmente creando l’effetto di una veste intera senza maniche.
Quando furono aggiunte le maniche a queste vesti prima della metà del XIII secolo e, talvolta, anche un cappuccio, le “cyclas”, comunemente conosciute come “cicladi”, diventarono “ganache” cioè surcot o sopravvesti con cappuccio a maniche lunghe o corte; solitamente il cappuccio era di colore corrispondente alla veste.
Gli uomini dei ceti più bassi indossavano una tunica lunga fino al ginocchio con una cintura in vita. Si diffuse uno spacco al centro della parte anteriore della veste dal cavallo all’orlo in modo da poter infilare gli angoli della tunica nella cintura per creare una maggiore libertà di movimento. Indossavano lunghe calze con gambe di lunghezza diversa, allacciate alla coulisse delle brache o alla cintura, spesso visibili dalla veste infilata nella cintura.
Il dono di vestiti, tessuti, capi d’abbigliamento, era cosa ambita e riceverlo era un grande onore, poiché si trattava di un premio generoso del signore verso il servo. L’abitudine da parte dei signori di donare abiti dello stesso tessuto, dello stesso modello e degli stessi colori fece nascere nel tempo la tradizione delle “livree” cioè abiti che venivano realizzati nel colore del casato di cui si era figli o servi.
Cappelli di vario genere si diffusero tra le diverse classi sociali, il berretto frigio e una sorta di cuffia cioè un cappuccio bianco in lino stretto con corde che legavano sotto il mento, conosciuta con il nome “infulae”.
Il cappello di paglia confezionato con il bordo fu di uso diffuso tra i contadini, ma anche cappelli di feltro dalla larga tesa.
Nelle classi più abbienti si diffondono i berretti in pelliccia.
Tra gli uomini lavoratori si indossavano grembiuli confezionati con stoffe grezze nei mestieri come la metallurgia o la falegnameria o nell’agricoltura erano portati legati attorno al collo per tenere le sementi nella parte inferiore per la semina.
Il mantello era confezionato con una ricca stoffa, con un taglio circolare e spesso bordato in pelliccia; una spilla decorativa lo fissava sulla spalla destra o poteva essere semplicemente allacciato sotto il mento.