Fonte: Academia Barilla
Uno chef moderno tra medioevo e rinascimento
Il Libro de arte coquinaria (Libro di arte culinaria) di Maestro Martino da Como, non è solo una delle due opere gastronomiche su cui si regge il Quattrocento, insieme con il De honesta voluptate et valetudine (Il piacere onesto e la buona salute) di Bartolomeo Sacchi, detto “Platina”, ma segna anche l’ingresso in Italia della cucina a base di burro. Quest’ultima, elaborata nel Nord Europa in alternativa ai sapori speziati, avrà nei secoli successivi il sopravvento, soprattutto nella parte settentrionale della nostra penisola (mentre in quella meridionale prevarrà l’utilizzo dell’olio d’oliva).
L’autore
Il ticinese Martino de Rubeis o de’ Rossi, detto “da Como”, lavora come cuoco personale del Patriarca di Aquileia a Roma (Ludovico Scarampi Mezzarota, chiamato “cardinal Lucullo” per la sua prodigalità nell’allestir banchetti), tra la seconda metà degli anni Cinquanta del Quattrocento e il 1465, ed è la prima firma importante della cucina italiana.
Avendo lavorato a Milano, all’inizio della sua carriera, alla corte di Francesco Sforza, e poi, negli ultimi anni, al servizio del condottiero Gian Giacomo Trivulzio, tra Regno di Napoli e di Francia, la visione gastronomica di Maestro Martino è aperta a diverse esperienze territoriali e pure all’influsso della cultura catalana, araba e orientale.
L’opera
Composto probabilmente intorno al 1450 e conservato in originale alla Library of Congress di Washington, il ricettario di Maestro Martino è squisitamente tecnico e risulta più completo e sistematico delle opere che lo hanno preceduto.
Chiaro e ben articolato, dallo stile preciso e immediato, il testo è pensato per essere capito e usato da tutti: non a caso, Maestro Martino sceglie di comporlo in lingua volgare.
Gli alimenti sono separati coscienziosamente, in ordine di portata e per tipologia di ingredienti, in modo molto moderno. Martino, inoltre, suggerisce il rapporto tra le quantità e il numero dei commensali, indicando recipienti e tempi di cottura.
Arriva anche a suggerire delle varianti per alcuni ingredienti, nel caso in cui fossero di difficile reperibilità. E non solo: propone verdure e ortaggi, a quei tempi erroneamente considerati sinonimo di povertà, come capisaldi di una dieta salutare e sottolinea l’opportunità di valorizzare il cibo del territorio. Inoltre, esalta il sapore autentico delle materie prime, evitando l’abuso di quelle spezie che tanto andavano di moda, come status symbol, nella cucina medievale.
Presso i contemporanei, il volume gode di un tale credito da essere oggetto di numerosi plagi: trascritto quasi integralmente e pubblicato a stampa a Venezia nel 1516 da “Maestro Giovanni de Rosselli francese”, con il titolo Opera nova chiamata Epulario (Venezia, 1517), è ripetutamente ristampato fino a raggiungere la diciassettesima edizione a metà Settecento e, solo in tempi recenti, viene “restituito” al suo legittimo autore.
Perché leggerla
In Italia, al pari di altri paesi europei, è tra XIII e XIV secolo che nasce la letteratura gastronomica, come risultato di una lunga evoluzione che differenzia la cucina medievale da quella antica, di matrice romana.
È una cucina dai tratti “internazionali”, dove ricette, ingredienti e gusti s’inseguono, praticamente identici in tutta Europa, unificati soprattutto dagli standard sociali. Da un lato, la nobiltà, con i suoi privilegi di caccia e pesca, che conta su un ricettario unificato, favorito anche dai passaggi dei dignitari dalle diverse Corti europee; dall’altro, il popolo, che riesce a sfamarsi con quanto offerto dalla terra o dal mercato, dando vita a quelle “caratterizzazioni” che andranno a definire, col tempo, le specifiche cucine nazionali e regionali.
Il Libro de arte coquinaria di Maestro Martino, è una pietra miliare della cultura gastronomica italiana proprio perché sistematizza tutto lo scibile, relativo alla cucina, dal tardo Medioevo all’inizio del Rinascimento.
Ha un inestimabile valore storico, dunque, e offre uno sguardo su quella che può essere considerata la creatività di un grande chef, colto e non solo ricco di talento in cucina, dedito alla ricerca e alla sperimentazione continua.
Nelle cucine vaticane, dove Maestro Martino consacra il suo successo e la sua fama di cuoco provetto, viene apprezzato soprattutto per la sua fantasia e il fatto che, a differenza di molti suoi colleghi, non ami tanto copiare ricette già note quanto inventarne di nuove o rielaborare, con estro e gusto moderni, quelle tradizionali.
Curiosi, due elementi. I tempi di preparazione: il nostro chef dà indicazioni che oggi possono apparire bizzarre, ma che hanno un significato per l’epoca: un numero variabile di preghiere (Pater Noster o Miserere), da recitare attendendo che le pietanze cuociano. L’aspetto cromatico dei piatti: Martino lo fa diventare il tratto distintivo di molte sue preparazioni e, nella scelta degli ingredienti, si lega alla tradizione dei colori primari.